Dal 1 ottobre F24 a saldo zero solo tramite intermediario

Dal 1° ottobre 2014 lo scambio di crediti e debiti e i versamenti di importo superiore a mille euro viaggerà solo in via telematica. Le nuove regole riguarderanno anche i privati e i contribuenti non titolari di partita Iva.
A decorrere da tale data i versamenti eseguiti con il modello F24 potranno essere effettuati esclusivamente tramite i servizi telematici dell’agenzia delle Entrate (Entratel oppure FiscoOnLine) nel caso in cui, per effetto delle compensazioni eseguite, il saldo finale sia di importo pari a zero.
Sempre dal 1° ottobre in caso di compensazioni con saldo finale di importo positivo (qualunque importo) oppure saldo finale di importo superiore a mille euro (anche in assenza di compensazioni) i modelli F24 non potranno essere presentati in modalità cartacea allo sportello bancario bensì esclusivamente tramite i servizi telematici dell’agenzia delle Entrate o degli intermediari della riscossione convenzionati con le Entrate, cioè banche, Poste italiane o agenti della riscossione.

WordPress cambia faccia!

Eccola finalmente: la nuova versione di WordPress, dalla grafica più intuitiva e allineata alle interfacce più moderne.

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Quando pagare il TFR?

Ogni lavoratore, in caso di cessazione del rapporto di lavoro, ha diritto a una retribuzione differita: il trattamento di fine rapporto.
Tale trattamento è calcolato sommando per ciascun anno di servizio una quota pari e comunque non superiore all’importo della retribuzione dovuta per l’anno stesso divisa per 13,5. La quota è proporzionalmente ridotta per le frazioni di anno, computandosi come mese intero le frazioni di mese uguali o superiori a 15 giorni (art. 1 L. 297/1982).

La legge detta le modalità di calcolo del tfr, ma non dispone nulla in merito ai termini di corresponsione. Per far luce su tale aspetto è necessario riferirsi alla giurisprudenza, secondo l’orientamento della quale il diritto del lavoratore al tfr sorge al momento della cessazione del rapporto.

Nel caso in cui in tale momento non dovessero essere disponibili gli indici Istat relativi all’ultimo periodo il tfr deve comunque essere pagato, e le differenze conseguenti alla rivalutazione potranno essere pagate successivamente, a conguaglio.

L’assenza di indici Istat aggiornati non legittima il datore di lavoro a pagare il tfr in un momento successivo alla conclusione del rapporto. In caso di pagamento ritardato, sono dovuti sia la rivalutazione che gli interessi, da calcolarsi sulla somma dovuta al lordo delle ritenute fiscali e contributive.

In relazione al momento dal quale far decorrere gli interessi e le rivalutazioni, due sono le interpretazioni giurisprudenziali:

1. Decorrono dal giorno della loro effettiva conoscenza

2. Decorrono dalla data di cessazione del rapporto di lavoro.

Tale incertezza nell’orientamento della giurisprudenza non è assoluta, infatti vi sono casi in cui modalità e scadenze di pagamento possono essere regolamentate da eventuali clausole contrattuali (che prevedano, ad esempio, dilazioni di pagamento), oppure da contratti collettivi.

A titolo di esempio si riportano le previsioni di contratti collettivi che risolvono a monte (almeno in parte) i dubbi interpretativi relativi ai termini del pagamento del tfr:

   Ccnl 7.7.1999 per i lavoratori della piccola e media industria metalmeccanica (Confapi), art. 20:
“il pagamento del tfr avverrà entro 30 giorni dalla pubblicazione dell’indice ISTAT da utilizzare ai fini della rivalutazione del fondo tfr”

   Ccnl 22.1.1999, turismo, art. 72:
“quando ragioni tecniche derivanti dalla elaborazione meccanografica centralizzata delle retribuzioni lo impediscono, la liquidazione del trattamento dovrà comunque avvenire non oltre 30 giorni dalla data di cessazione del rapporto di lavoro”.

È tuttavia doveroso prendere atto che, al di là di norme contrattuali o di sottili interpretazioni giuridiche, è oramai invalsa la consuetudine per le aziende di retribuire il TFR nel mese successivo al mese di risoluzione del rapporto di lavoro, senza che tale consuetudine provochi gravi impugnative o vertenze sindacali.

Il patto di non concorrenza

Per patto di non concorrenza si intende un accordo scritto stipulato fra il datore di lavoro ed il prestatore di lavoro che ha lo scopo di limitare l’attività del lavoratore dopo la cessazione del rapporto, in modo da non creare danno all’imprenditore a causa della possibilità di svolgimento di attività in concorrenza con l’oggetto sociale del datore di lavoro in considerazione delle conoscenze acquisite durante il cessato rapporto di lavoro.

patto di non conc

Ovviamente tale limitazione di attività viene concordata tra le parti con un riconoscimento economico adeguato, che consenta comunque all’ex prestatore di lavoro di poter utilizzare le capacità professionali acquisite sia in autonomia che alle dipendenze di terzi e la possibilità di utilizzo concreto di ciò che può offrire il mercato del lavoro.
Si riporta di seguito il testo dell’art. 2125 del c.c., avente per oggetto il patto di non concorrenza, che recita testualmente:

Il patto con il quale si limita lo svolgimento dell’attività del prestatore di lavoro, per il tempo successivo alla cessazione del contratto, è nullo se non risulta da atto scritto , se non è pattuito un corrispettivo a favore del prestatore di lavoro e se il vincolo non è contenuto entro determinati limiti di oggetto, di tempo e di luogo.
La durata del vincolo non può essere superiore a cinque anni, se si tratta di dirigenti, e a tre anni negli altri casi. Se è pattuita una durata maggiore, essa si riduce nella misura suindicata.

Per la corretta applicazione del patto di non concorrenza si indicano di seguito gli elementi essenziali per un corretto adempimento:

  • Il patto di non concorrenza è un contratto fra le parti che deve risultare da atto scritto e che può essere attivato dal prestatore di lavoro, sia esso dipendente, para-subordinato, o agente di commercio;
  • Il patto di non concorrenza può essere attivato, dopo accurata verifica sulla convenienza da parte dell’imprenditore, nel corso del rapporto di lavoro o comunque all’atto della risoluzione del rapporto stesso;
  • Deve indicare la durata temporale del vincolo a far data dalla cessazione del rapporto di lavoro e nella maggioranza dei casi è consigliabile una durata massima di 1/2 anni;
  • Deve indicare la zona geografica di validità del vincolo, che non può ovviamente escludere l’intero territorio nazionale, individuando di fatto le aree nelle quali il lavoratore può operare senza contravvenire ai principi fondamentali del patto;
  • Deve indicare il corrispettivo convenuto fra le parti e le modalità di corresponsione, e comunque non fa parte della retribuzione in quanto costituisce una prestazione accessoria del lavoratore, quindi non è sottoposto ad obblighi di natura contributiva ed assicurativa, ma solo fiscale. Nella determinazione del corrispettivo, pena la nullità del patto, deve essere contemplato il principio secondo il quale l’attività svolta deve garantire al lavoratore “un guadagno idoneo a soddisfare le esigenze sue e della famiglia” (v. sentenze ricorrenti) e quindi il corrispettivo non può essere simbolico, iniquo, o sproporzionato rispetto alla sopravvenuta riduzione della possibilità di guadagno.

È importante sottolineare che il patto di non concorrenza rappresenta uno strumento che, ove venisse articolato in modo da rendere problematica o difficoltosa la possibilità di adeguata attuazione per il lavoratore, è frequentemente motivo di impugnazione della sua validità da parte della giurisprudenza.

Va tuttavia precisato che, ove la violazione del patto da parte del lavoratore venisse concretamente appurata, l’ex datore di lavoro potrà agire giudizialmente per ottenere, anche in via d’urgenza (ex art. 700 c.p.c.), l’adempimento del patto, oltre al risarcimento del danno, evidenziandosi un chiaro illecito contrattuale con le conseguenze del caso.

Il lavoro a domicilio

Questa tipologia di prestazione d’opera ha avuto scarsa applicazione sul territorio nazionale negli ultimi tempi ed è rimasta in uso solo in certe zone e per determinate attività, tuttavia oggi alla luce della particolare situazione socioeconomica del paese è tornata ad essere appetibile sia dal punto di vista dei costi, che per la flessibilità del suo utilizzo.

Il lavoro a domicilio può divenire per le sue caratteristiche una risorsa occupazionale per l’impresa, in considerazione della sua flessibilità e della possibilità di usufruire di prestazioni d’opera “quando serve”.

Cosa si intende per lavoro a domicilio?

È lavoratore a domicilio il soggetto che, con vincolo di subordinazione, esegue nel proprio domicilio o in locali di cui abbia disponibilità, lavoro retribuito per conto di uno o più imprenditori, utilizzando materie prime o accessorie e attrezzature proprie o dello stesso imprenditore, anche se fornite per il tramite di terzi. Si precisa che il lavoro può essere svolto anche con l’aiuto di membri della famiglia conviventi e a carico, osservando le direttive dell’imprenditore circa le modalità di esecuzione, le caratteristiche ed i requisiti del lavoro da eseguire.

lavoro a domicilio

La competitività del lavoro a domicilio consiste anche nella determinazione dei costi unitari delle lavorazioni, che vengono stabiliti in accordo tra committente e lavoratore; inoltre a vantaggio dell’imprenditore, come già esposto, si sottolinea la assoluta libertà di richiedere il lavoro da effettuare solo in base agli ordinativi del cliente e quindi senza alcun obbligo di fornire continuità di prestazioni al lavoratore a domicilio.

L’imprenditore committente, usufruendo della subordinazione del lavoratore a domicilio, richiede allo stesso l’esecuzione parziale o il completamento di prodotti oggetto della sua attività.

Il lavoratore a domicilio è a tutti gli effetti un lavoratore dipendente con rapporto di lavoro a tempo indeterminato a condizione che siano rispettati gli aspetti precedentemente indicati.

Da parte dell’imprenditore vanno dunque rispettati tutti gli obblighi esistenti per i lavoratori dipendenti quali l’assunzione, l’applicazione del CCNL di competenza, l’inquadramento, etc.

Aspetti operativi e retributivi del lavoro a domicilio

È necessario a tale scopo considerare le varie fasi gestionali dello sviluppo del lavoro a domicilio che si possono riassumere come segue:

a) Emissione da parte del committente di una bolla di trasporto nominativa al lavorante a domicilio riportante le distinte degli articoli da lavorare, il numero di pezzi, il prezzo unitario degli articoli praticato al cliente, la data di consegna del materiale e la data di ritiro del materiale lavorato, con esposizione finale dei giorni di lavorazione;

b) Calcolo dell’importo totale del lavoro svolto nel periodo di lavorazione del mese (n. pezzi x costo unitario del pezzo per ogni articolo = retribuzione del mese);

c) Calcolo delle maggiorazioni dovute sulla retribuzione mensile di cui al punto b):

  1. Nella misura del 22 % a titolo di indennità sostitutiva della gratifica natalizia, delle ferie annuali e delle festività nazionali ed infrasettimanali corrisposta mensilmente (tutti i ratei degli istituti contrattuali maturati nel mese vengono liquidati nel cedolino paga, divenendo di fatto non più retribuzione differita, bensì retribuzione corrente)
  2. Nella misura del 3 % a titolo di rimborso spese per l’uso di attrezzature locali, energia ed accessori corrisposta mensilmente.

d) Il cedolino paga di fatto indicherà un imponibile contributivo INPS ottenuto almeno dal valore minimale giornaliero INPS moltiplicato per il numero dei giorni di lavorazione ed il valore totale della retribuzione (che non coincide con l’imponibile contributivo) ottenuto dal lavoro svolto nel periodo di lavorazione del mese comprensivo delle maggiorazioni di cui al punto c).