Usura banca: scatta il penale per il dirigente che ha sottoscritto il contratto

Usura-della-banca-scatta-il-penale-per-il-dirigente-che-ha-sottoscritto-il-contratto-370x230 Procedimento penale per i vertici dell’organigramma che hanno approvato la scelta di applicare i tassi illeciti. L’eventuale applicazione di tassi usurari al conto corrente, così pure ad altri prodotti creditizi, mutui , prestiti personali , leasing, cessione del quinto dello stipendio ed altro , del cliente non ha solo effetti di carattere civilistico, con la cancellazione dell’obbligo, per il mutuatario, di restituzione degli interessi oltre il tasso soglia. Le conseguenze – per la banca, ovviamente – sono anche di carattere penale. E non di poco conto. Di recente il Gip (Giudice per le indagini preliminari) di Torino ha rigettato una richiesta di archiviazione nei confronti dei responsabili della banca che avevano fatto sottoscrivere il contratto al cliente. Il procedimento penale, dunque, va avanti anche nei confronti dei vertici dell’istituto di credito. Dal punto di vista penale – si legge nel provvedimento – l’eventuale responsabilità di aver applicato tassi usurari non può essere del solo dirigente bancario che ha sottoscritto il contratto, ma devono essere individuate anche le persone che, ai vertici della banca, li hanno stabiliti in quella misura illecita. Al fine di verificare l’usurarietà del mutuo, poi, è noto che la giurisprudenza è orientata nel senso di non ritenere sommabili il tasso di mora con quello corrispettivo, ma i due, singolarmente presi, devono essere comunque considerati per verificare se, insieme alle commissioni, portano il costo del prestito oltre la soglia dell’usura stabilita dalla legge. E’ già nota una severa condanna per lite  temeraria per nota società lombarda che   sostiene il cumulo degli interessi” e “Usurari gli interessi sul mutuo se i moratori si sommano ai corrispettivi e il Tegm è oltre soglia”. Una volta verificata l’esistenza del tasso usurario, il pubblico ministero dovrà individuare nell’organigramma della banca a chi imputare materialmente la scelta di applicare questi tassi illeciti. E, in tali casi, oltre alle conseguenze (positive) per l’utente bancario  che potrà opporre il decreto ingiuntivo notificatogli, ci saranno quelle (negative) per il responsabile bancario, nei confronti del quale si avvierà un processo penale. Al CENTROPROFESSIONISTI potrete richiedere al professionista delegato , una verifica analitica dei propri contratti di credito , come abbiamo detto , mutui , prestiti personali , leasing , conti correnti , derivati e swap , ottenendo una seria e documentata pre-anlisi con l’ indicazione del valore dell’ eventuale contenzioso bancario. DIFFIDATE DA SOCIETA’ E CONSULENTI CHE OFFRONO UNA PRE-ANALISI GRATUITA , UN VALIDO REPORT ESIGE L’ ESAMINA DELLA CONTRATTUALISTICA DA PARTE DI UN ANALISTA CONTABILE BANCARIO CON UN IMPEGNO CHE VA DAI 30 AI 40 MINUTI , POTRA’ MAI LAVORARE GRATIS? LA DIETROLOGIA DELLA PREA-NALISI GRATIS E’ VENDERE PERIZIE INEFFICIENTI E PRIVE DI COMPETENZA .

Illegittima segnalazione Centrale Allarme Interbancaria (CAI): tutela d’urgenza .

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Segnalazione e richiesta di cancellazione del nominativo segnalato: si può agire d’urgenza con un ricorso al tribunale.

È ormai un orientamento quasi unanime quello dei tribunali di garantire al cliente della banca, che sia stato da quest’ultima illegittimamente segnalato alla CAI (Centrale di Allarme Interbancaria) come “cattivo pagatore”, di ottenere un’immediata cancellazione e rettifica della segnalazione stessa. La tutela – e qui l’aspetto saliente – può essere richiesta non attraverso un’ordinaria causa (e, quindi, coi suoi tempi e i relativi costi), ma ricorrendo alla cosiddetta tutela d’urgenza ossia a un procedimento immediato che si conclude, di norma, in una o due udienze al massimo. È quello che i tecnici chiamano “Ricorso all’articolo 700 del codice di procedura civile”.

A ribadire questo orientamento è stato, da ultimo, il Tribunale di Milano con una recente sentenza [1]. Gli indubbi vantaggi di questa interpretazione sono di aver riconosciuto al cittadino, ormai con orientamento condiviso da quasi tutti i tribunali, la sussistenza a monte di quei requisiti (gravità e urgenza) per il ricorso alla tutela d’urgenza nel caso in cui l’illegittima segnalazione effettuata dalla banca “macchi” la reputazione commerciale del correntista e ne pregiudichi le relative attività economiche.

Ma che cos’è la CAI? E come funziona? A riguardo rinviamo alla nostra guida completa sull’argomento: “Cattivi pagatori: come funziona la CAI”. Esiste un modo per evitare, in caso di assegno scoperto, la segnalazione in CAI e avere anche il risarcimento da parte del creditore? Anche per questo aspetto rinviamo a un nostro precedente articolo: “Assegno scoperto: evitare segnalazioni in CAI”. Nel caso di assegno non pagato per difetto di provvista alla scadenza (ossia perché “non coperto”), la legge consente al debitore di evitare le sanzioni mediante il pagamento tardivo, ma entro il termine 60 giorni dalla scadenza del titolo. Il pagamento tardivo evita le conseguenze connesse a una eventuale segnalazione alla CAI e la conseguente interdizione assoluta dall’uso degli assegni.

Entro, dunque, la scadenza dei 60 giorni predetti, il traente deve effettuare il pagamento tardivo completo degli interessi, della penale e delle eventuali spese per il protesto o per la constatazione equivalente. Quanto alla prova del pagamento tardivo dell’assegno entro il sessantesimo giorno, la legge [2] prevede che essa deve essere fornita dall’interessato durante l’orario di apertura della banca. Ma che succede se il debitore abbia pagato entro il sessantesimo giorno ma produca la relativa ricevuta all’istituto di credito dopo tale termine e quindi, per esempio, al sessantunesimo giorno? A riguardo la normativa non è esplicita. Ma, secondo la sentenza in commento, bisogna privilegiare la “sostanza”, ossia il fatto che, comunque, la regolarizzazione del titolo è avvenuta. La banca dunque, qualora non messa al corrente in tempo dell’avvenuto pagamento, abbia provveduto alla segnalazione alla CAI, deve poi cancellarla. Diversamente, il debitore può chiedere l’intervento del tribunale in via d’urgenza.

Diverse volte la clientela delle banche ha preferito, piuttosto che fare causa, adire l’ABF, l’Arbitro bancario finanziario. A riguardo lo stesso, pur attribuendo la tutela ai ricorrenti, ha più volte avuto modo di precisare quanto segue: il ricorrente che intenda denunciare la illegittima segnalazione in una centrale rischi è gravato da un rigoroso onere della prova e, soprattutto, è tenuto a documentare l’illeciti condotta dell’intermediario [3]. Tenuto conto poi dei possibili effetti negativi derivanti dalla permanenza della segnalazione in centrale rischi, l’intermediario deve provvedere tempestivamente alla cancellazione laddove vengano meno i relativi presupposti. Pertanto deve considerarsi illegittimo il comportamento dell’intermediario che non dia corso all’immediata cancellazione dalla centrale rischi del nominativo del debitore che abbia estinto il proprio debito [4].

L’ABF inoltre ricorda che la banca ha l’obbligo di effettuare di propria iniziativa – senza quindi bisogno di sollecitazioni dell’interessato – la cancellazione come peraltro sancito da una circolare della Banca d’Italia [5]. Le banche, a tal fine, devono dotarsi di idonee strutture organizzative in modo tale che siano in grado di “rettificare di propria iniziativa le segnalazioni errate o incomplete riferite alla rilevazione corrente e a quelle pregresse“, specie laddove la persistenza dell’inesattezza emerga dalle evidenze documentali in possesso dell’istituto di credito [6]. Il cosiddetto decreto sviluppo del 2011 prevede che, entro 10 giorni dalla regolarizzazione dei pagamenti, le segnalazioni relative a ritardi di pagamenti da parte delle persone fisiche o delle società già inserite nelle banche dati devono essere aggiornate con la comunicazione di avvenuta estinzione del debito.

[1] Trib. Milano sent. del 15.10.2014.

[2] Art. 15 del DM n. 458/01.

[3] AFB Collegio Roma decisione n. 209/2010. Collegio Napoli, decisione n. 90/2010.

[4] ABF Collegio Milano decisione n. 380/2010.

[5] Circolare Banca d’Italia n. 139/1991.

[6] ABF decision n. 392/2010. [7] Art. 8-bis D.L. n. 70/2011.

 

Pignoramento casa se non si vende all’asta l’ esecuzione termina.

Il creditore resta insoddisfatto e il processo esecutivo si estingue per eccessi di ribasso che comportano un deprezzamento del valore del bene.

Tra le tante novità dell’ultima riforma della giustizia, si scopre che, in un minuscolo articolo – quasi invisibile [1] – è stata prevista una misura di estremo interesse e importanza, a tutela della casa e del debitore. La norma è probabilmente passata inosservata a gran parte dei commentatori, intenti soprattutto a criticare l’impianto normativo in sé, la definizione delle cause attualmente pendenti mediante l’affidamento ad “avvocati-arbitri” e i nuovi metodi di separazione e divorzio.
Vediamo dunque di approfondire e comprendere quali saranno le conseguenze di questa mini-rivoluzione sui processi esecutivi immobiliari.

Si tratta di una novità di tutto rilievo che rischia di far chiudere definitivamente migliaia di procedure di esecuzione forzata, avviate tramite il pignoramento di case e immobili vari (terreni, fabbricati, quote di comproprietà su beni indivisi, ecc.). Si tratta, invero, di fascicoli vecchi di decine d’anni, ormai logori, che giacciono nei carrelli dei tribunali e lì stanno più per inerzia che per impulso. Un procedimento esecutivo immobiliare, infatti, può essere estremamente lungo (non di rado si superano i 10 anni) perché subordinato all’eventuale presentazione di offerte,alle varie aste, da parte dei potenziali acquirenti. E chi compra case dai tribunali ha una visione sufficientemente smaliziata tale da saper attendere che il prezzo – indicato dal giudice come base d’asta – scenda a sufficienza per raggiungere l’affare “perfetto”.

Ecco – dicevamo – tutto questo da oggi non ci sarà più o, quantomeno, sarà notevolmente ridimensionato.

In buona sostanza, la riforma ha previsto che, se a seguito di una serie di ribassi di asta, il prezzo battuto come “base d’asta” per l’esecuzione forzata dell’immobile dovesse discostarsi di molto dal suo valore di mercato, il giudice deve disporre la chiusura anticipata del processo esecutivo. Il che, in pratica, significa che il creditore, dopo aver anticipato gli elevati importi per le spese di pignoramento, dopo aver atteso diversi anni nella speranza di recuperare il proprio credito, dovrà invece dire addio alla procedura e tornare a casa con le tasche vuote.

La norma, però, ha una sua indubbia base di giustizia. Lo scopo è quello di non svendere i beni sottoposti ad aste.

Un esempio riuscirà a far comprendere meglio la situazione paradossale che, in assenza di tale previsione, potrebbe venirsi a creare.
Mettiamo che Tizio abbia un debito con la banca di 100mila euro. Quest’ultima, pertanto, gli pignora la casa del valore di 200mila euro, con la speranza di poterla vendere e soddisfare quanto non ancora incassato. Se, per ipotesi di scuola, si riuscisse a vendere l’immobile al reale valore di mercato (200mila euro), si avrebbe una perfetta situazione di giustizia: la banca otterrebbe i suoi 100mila euro e il residuo della vendita (gli altri 100mila euro) andrebbero al debitore che li potrebbe usare per acquistare una nuova casa ove andare a vivere. Ma questa è un’ipotesi virtuale, che quasi mai ricorre. Molto più spesso, gli interessati all’acquisto di un immobile tramite il tribunale attendono che si svolgano più aste e che le stesse “vadano deserte” (ossia non si presenti nessuno), in modo che, ad ogni successivo passaggio, il giudice faccia scendere sempre più la “base d’asta”. Potrebbe allora verificarsi, per ipotesi (anche questa ipotetica) che, a seguito di numerosi ribassi, la casa venga venduta a 30mila euro. Risultato: la banca rimarrà ancora creditrice di 70mila euro, il debitore rimane senza casa e il suo sacrificio non gli è valso neanche la possibilità di liberarsi dal debito, poiché la banca potrà continuare ad aggredirlo fino a totale soddisfazione.

Insomma: la compressione del diritto (alla proprietà) del debitore non può mai pregiudicare in modo irragionevole i suoi diritti della persona.

Ecco, allora, cosa dice testualmente la nuova norma:

(Infruttuosità dell’espropriazione forzata). “Quando risulta che non è più possibile conseguire un ragionevole soddisfacimento delle pretese dei creditori, anche tenuto conto dei costi necessari per la prosecuzione della procedura, delle probabilità di liquidazione del bene e del presumibile valore di realizzo, è disposta la chiusura anticipata del processo esecutivo”.

Ma possibile che, sino ad oggi, nessuno ci aveva pensato? In realtà esisteva già un rimedio previsto dal codice (anche se poco spesso utilizzato): il giudice già ieri poteva “sospendere” l’esecuzione forzata in assenza di offerte vantaggiose. Ma si trattava di una semplice “sospensione” e, peraltro, eventuale. Con la conseguenza che, nel frattempo, il debitore era comunque obbligato ad andare via da casa o a pagare il fitto all’incaricato alla vendita.

Oggi, invece, la riforma prevede che il giudice stabilisca del tutto la chiusura definitiva della procedura. In pratica, il debitore si libera (non del debito, ma) dell’esecuzione forzata e può tornare nella piena disponibilità del proprio bene.

Segnaliamo comunque un precedente del tribunale di Napoli che, con una interpretazione evolutiva, quasi un anno fa, benché ancora non ci fosse tale riforma, era arrivato alla stessa soluzione sulla base di una lettura ragionata dei principi del nostro processo (leggi l’articolo “Che succede se la casa all’asta non si vende nonostante i ribassi?”).

La nuova norma non specifica gli effetti che l’eventuale estinzione del pignoramento immobiliare avrà sulle eventuali ipoteche accese dal creditore; si deve però ritenere che le stesse possano continuare a rimanere iscritte nei pubblici registri (salvo il rinnovo periodico). Né viene chiarito quale forbice tra valore di stima e valore di vendita possa considerarsi sufficiente per imporre al giudice la chiusura della procedura. Il che sarà rimesso alla valutazione del singolo tribunale.

Se il creditore insiste di nuovo
Una cosa però è certa: nonostante (anche in questo caso) nulla dica la legge (spetterà eventualmente ai giudici interpretarla in tal senso), qualora il creditore, una volta estinta la procedura per assenza di offerte, proceda a pignorare nuovamente lo stesso immobile, riavviando il medesimo calvario per il debitore (ben conoscendone l’inutilità in assenza di riassetti del mercato immobiliare) si potrebbe configurare un abuso di diritto; e pertanto il debitore ben potrebbe proporre una opposizione all’esecuzione forzata ed, eventualmente, chiedere la condanna del creditore al risarcimento del danno per lite temeraria [2].

Equitalia
Nonostante i limiti ai pignoramenti posti dal Decreto del Fare all’Agente della riscossione, la nuova norma si applica anche a quest’ultimo. Per tale aspetto rinviamo all’articolo “Stop pignoramenti e aste di Equitalia“.

La prima vendita all’incanto
Sempre la riforma aggiunge un’ultima norma anch’essa non meno interessante della precedente. Si specifica, in particolare, che nel caso di vendita all’asta, l’incanto può essere disposto solo quando il giudice ritiene probabile che la vendita con tale modalità abbia luogo ad un prezzo superiore della metà rispetto al valore del bene [3].

[1] Art. 164 bis DL n. 132 del 12.09.2014 conv. in legge n. 162 del 10.11.2014.
[2] Art. 96 cod. proc. civ.
[3] Determinato a norma dell’art. 568 cod. proc. civ.
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Carte di credito Revolving, il processo per truffa e usura resta a Trani.

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Si è concluso da poco la terza udienza dibattimentale davanti al Tribunale di Trani nei confronti di 5 dirigenti di American Express.

La Procura di Trani aveva chiesto nel 2012 il rinvio a giudizio dei cinque imputati ipotizzando i reati di truffa ed usura bancaria ai danni di alcuni cittadini della provincia Bat, in relazione all’elargizione di prestiti in danaro realizzati attraverso il rilascio di carte di credito del tipo “revolving”, sulle quali venivano applicati tassi di mora usurari.

All’odierna udienza il Tribunale, sciogliendo la riserva del 27 novembre scorso ha confermato, come già fatto in udienza preliminare dal GUP, la propria competenza territoriale e pertanto ha respinto l’eccezione delle difese degli imputati che volevano trasferire il processo a Roma. Il processo resta a Trani.

seguire le parti hanno articolato le loro richieste istruttorie ed il Tribunale ha rinviato la causa al prossimo 19 marzo 2015, data in cui si procederà all’esame dei testi e dei consulenti tecnici della Procura, Pm dott. Michele Ruggiero, ed all’acquisizione delle intercettazioni telefoniche.

L’inchiesta -nella quale sono confluite segnalazioni della associazione di consumatori Adusbef- è partita nel 2008 a seguito della denuncia di un utente di Molfetta che, a fronte di un prestito di 2.600 euro, non avendo pagato una rata di 129,43 euro, si era visto recapitare una richiesta di 686,54 euro, cioè superiore di oltre 5 volte alla rata non pagata ed ad un tasso di interesse moratorio ben superiore a quello soglia previsto dalla legge antiusura fissato al 25,23% per il trimestre di riferimento, che secondo le perizie sfiorava il 250%.

Analoghe richieste sono state effettuate da Adusbef ed Adusbef Puglia, parti civili nel processo, rappresentate dagli avv.ti Antonio Tanza e Vincenzo Laudadio, uniche associazioni di consumatori ammesse in giudizio in ragione della loro pluriennale e specifica competenza in materia bancaria.

 

Impignorabile la prima macchina come la prima casa

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I paletti all’esecuzione forzata mobiliare: il pignoramento riscritto dalla riforma della giustizia.

Il problema principale degli italiani sono i debiti. E su questo non ci piove. Se poi aggiungiamo anche una notevole propensione al garantismo, ormai radicata nel loro DNA, allora il mix è esplosivo. Si è illuso chi non ha previsto il coro di polemiche generato dall’approvazione dell’ultima riforma sulla giustizia con l’istituzione del “nuovo” (che, in realtà, tanto nuovo non è) pignoramento dell’automobile. E ciò perché il precedente Governo Letta era andato nella direzione diametralmente opposta: quella di una tutela esasperata del debito (almeno nei confronti di Equitalia), ponendo una serie di paletti alla riscossione esattoriale. Primo tra tutti il divieto di pignoramento della prima casa (ma anche l’intangibilità dell’ultimo stipendio accreditato in banca, dei beni strumentali dell’azienda e l’introduzione dei nuovi limiti per la pignorabilità degli ulteriori immobili).

È vero, se la rivoluzione di Letta era rivolta a fronteggiare la crisi delle famiglie nei rapporti con l’erario e con la riscossione dei tributi, la riforma della giustizia voluta da Renzi ha tutt’altra finalità: quella di dare maggiore credibilità al sistema giudiziario, garantendo processi rapidi, non strumentali e, soprattutto, efficaci. Il che ha imposto di rivisitare tutta la fase dell’esecuzione forzata, oggi vero punto debole della tutela dei diritti. E così, nell’ottica del potenziamento degli strumenti a tutela del creditore (tra cui, peraltro, la possibilità per l’ufficiale giudiziario di consultare l’Anagrafe tributaria nella ricerca dei beni del debitore), si è introdotta una procedura “ad hoc” per il pignoramento delle auto: sottratta, così, all’esecuzione forzata mobiliare (ove, sino ad oggi, era rimasta confinata) per darle una propria autonomia.

E dunque la prima precisazione: la riforma non inventa nulla di nuovo. Il pignoramento dell’auto è sempre esistito. Ma se, in precedenza, creditore ed ufficiale giudiziario erano condannati a una caccia al tesoro, oggi tutto avviene telematicamente. In più, l’obbligo di consegnare l’automobile viene prestabilito dalla legge: il debitore ha 10 giorni di tempo dalla notifica del pignoramento per portare l’auto all’Istituto vendite giudiziarie, altrimenti scatta l’apprensione forzosa da parte della polizia

È proprio questo il punto. C’è una sola cosa peggiore di un sistema corrotto e inefficiente: uno corrotto ed efficiente. Così, se la tutela del credito viene criminalizzata, la creazione di una norma che rende l’esecuzione forzata finalmente efficiente non può che apparire, agli occhi dei più, come un demonio da combattere.

Ci sono stati numerosi commenti, in questi giorni, di gente inorridita dalla nuova legge. Una legge accusata di esasperare i “poveri italiani” che diventano “sempre più poveri, mentre i ricchi sempre più ricchi fanno leggi a loro favore”. E ancora c’è chi definisce “orribile e abominevole” la riforma perché ritiene che “l’auto personale di un comune mortale debba essere considerata non pignorabile al pari di un bene strumentale per l’artigiano”.

La novità apportata dal decreto del fare sta nel fatto che se il debitore, entro gli stessi 30 giorni dalla notifica, dimostra che il veicolo è strumentale (ovvero gli è indispensabile per esercitare la sua attività commerciale o la sua professione, e non è sostituibile con altri beni aziendali), il pignoramento è limitato ad un quinto del suo valore, e può essere eseguito solo se il debitore non ha altri beni su cui Equitalia può rifarsi per ottenere il credito dovuto. Nel caso di veicolo strumentale, il pignoramento è valido per 360 giorni, e la vendita all’asta non può avvenire prima di 300 giorni dal pignoramento. Il debitore proprietario del mezzo così pignorato ne rimane custode, ovvero può continuare ad utilizzarlo secondo l’originaria destinazione d’uso.

Una cosa è vera, e la suggerisce sempre un nostro lettore. L’automobile non è più un bene voluttuario come lo poteva essere un tempo, quando città e paesi erano ancora di modeste dimensioni. Oggi la maggior parte delle persone vive in centri urbanizzati assai ampi o in città metropolitane dove i mezzi pubblici sono caratterizzati dall’inefficienza, dai ritardi quando non dagli scioperi continui. “Se ad un poveraccio gli togli l’auto personale è come toglierli la vita ….. come si sposta? Come va a lavoro? Diverso è se il debitore ha molte auto… In ogni caso una gli va garantita. Un mezzo di locomozione va garantito ad ogni libero cittadino”. Si pensi a chi necessita di cure mediche e che, perciò, deve essere libero di recarsi in clinica o dal medico di famiglia. Ma anche a chi ha difficoltà di deambulazione o a chi ha tanti bambini e deve accompagnarli e riprenderli in scuole diverse, quasi mai vicine tra loro.

E poi, diciamoci la verità: nessuno è mai riuscito a recuperare il proprio credito mettendo in vendita l’auto del debitore, che, di norma, è sfruttata, vecchia e quasi sempre svalutata. Peraltro, il mercato dell’usato su internet è divenuto assai più conveniente di qualsiasi asta giudiziaria. Cosicché è assai improbabile vendere il mezzo attraverso il pignoramento. Allora, quest’ultimo assume più la forma di una sorta di “stimolo” per ottenere il pagamento “in via bonaria” che non di un vero e proprio strumento per il recupero del credito.

In ogni caso, la “prima auto” – che, a scanso di equivoci è e resta pignorabile – poteva essere equiparata alla “prima casa”: impignorabile per natura. Del resto, di eccezioni all’esecuzione forzata la legge ne ha previste diverse. Si pensi ai combustibili (necessari per un mese), le decorazioni al valore, le lettere, i vestiti, la biancheria, i letti, i tavoli da pranzo, il frigorifero, le stufe e i fornelli da cucina. Non sarebbe allora arrivato il momento di aggiornare anche questa norma?