Pignoramento casa se non si vende all’asta l’ esecuzione termina.

Il creditore resta insoddisfatto e il processo esecutivo si estingue per eccessi di ribasso che comportano un deprezzamento del valore del bene.

Tra le tante novità dell’ultima riforma della giustizia, si scopre che, in un minuscolo articolo – quasi invisibile [1] – è stata prevista una misura di estremo interesse e importanza, a tutela della casa e del debitore. La norma è probabilmente passata inosservata a gran parte dei commentatori, intenti soprattutto a criticare l’impianto normativo in sé, la definizione delle cause attualmente pendenti mediante l’affidamento ad “avvocati-arbitri” e i nuovi metodi di separazione e divorzio.
Vediamo dunque di approfondire e comprendere quali saranno le conseguenze di questa mini-rivoluzione sui processi esecutivi immobiliari.

Si tratta di una novità di tutto rilievo che rischia di far chiudere definitivamente migliaia di procedure di esecuzione forzata, avviate tramite il pignoramento di case e immobili vari (terreni, fabbricati, quote di comproprietà su beni indivisi, ecc.). Si tratta, invero, di fascicoli vecchi di decine d’anni, ormai logori, che giacciono nei carrelli dei tribunali e lì stanno più per inerzia che per impulso. Un procedimento esecutivo immobiliare, infatti, può essere estremamente lungo (non di rado si superano i 10 anni) perché subordinato all’eventuale presentazione di offerte,alle varie aste, da parte dei potenziali acquirenti. E chi compra case dai tribunali ha una visione sufficientemente smaliziata tale da saper attendere che il prezzo – indicato dal giudice come base d’asta – scenda a sufficienza per raggiungere l’affare “perfetto”.

Ecco – dicevamo – tutto questo da oggi non ci sarà più o, quantomeno, sarà notevolmente ridimensionato.

In buona sostanza, la riforma ha previsto che, se a seguito di una serie di ribassi di asta, il prezzo battuto come “base d’asta” per l’esecuzione forzata dell’immobile dovesse discostarsi di molto dal suo valore di mercato, il giudice deve disporre la chiusura anticipata del processo esecutivo. Il che, in pratica, significa che il creditore, dopo aver anticipato gli elevati importi per le spese di pignoramento, dopo aver atteso diversi anni nella speranza di recuperare il proprio credito, dovrà invece dire addio alla procedura e tornare a casa con le tasche vuote.

La norma, però, ha una sua indubbia base di giustizia. Lo scopo è quello di non svendere i beni sottoposti ad aste.

Un esempio riuscirà a far comprendere meglio la situazione paradossale che, in assenza di tale previsione, potrebbe venirsi a creare.
Mettiamo che Tizio abbia un debito con la banca di 100mila euro. Quest’ultima, pertanto, gli pignora la casa del valore di 200mila euro, con la speranza di poterla vendere e soddisfare quanto non ancora incassato. Se, per ipotesi di scuola, si riuscisse a vendere l’immobile al reale valore di mercato (200mila euro), si avrebbe una perfetta situazione di giustizia: la banca otterrebbe i suoi 100mila euro e il residuo della vendita (gli altri 100mila euro) andrebbero al debitore che li potrebbe usare per acquistare una nuova casa ove andare a vivere. Ma questa è un’ipotesi virtuale, che quasi mai ricorre. Molto più spesso, gli interessati all’acquisto di un immobile tramite il tribunale attendono che si svolgano più aste e che le stesse “vadano deserte” (ossia non si presenti nessuno), in modo che, ad ogni successivo passaggio, il giudice faccia scendere sempre più la “base d’asta”. Potrebbe allora verificarsi, per ipotesi (anche questa ipotetica) che, a seguito di numerosi ribassi, la casa venga venduta a 30mila euro. Risultato: la banca rimarrà ancora creditrice di 70mila euro, il debitore rimane senza casa e il suo sacrificio non gli è valso neanche la possibilità di liberarsi dal debito, poiché la banca potrà continuare ad aggredirlo fino a totale soddisfazione.

Insomma: la compressione del diritto (alla proprietà) del debitore non può mai pregiudicare in modo irragionevole i suoi diritti della persona.

Ecco, allora, cosa dice testualmente la nuova norma:

(Infruttuosità dell’espropriazione forzata). “Quando risulta che non è più possibile conseguire un ragionevole soddisfacimento delle pretese dei creditori, anche tenuto conto dei costi necessari per la prosecuzione della procedura, delle probabilità di liquidazione del bene e del presumibile valore di realizzo, è disposta la chiusura anticipata del processo esecutivo”.

Ma possibile che, sino ad oggi, nessuno ci aveva pensato? In realtà esisteva già un rimedio previsto dal codice (anche se poco spesso utilizzato): il giudice già ieri poteva “sospendere” l’esecuzione forzata in assenza di offerte vantaggiose. Ma si trattava di una semplice “sospensione” e, peraltro, eventuale. Con la conseguenza che, nel frattempo, il debitore era comunque obbligato ad andare via da casa o a pagare il fitto all’incaricato alla vendita.

Oggi, invece, la riforma prevede che il giudice stabilisca del tutto la chiusura definitiva della procedura. In pratica, il debitore si libera (non del debito, ma) dell’esecuzione forzata e può tornare nella piena disponibilità del proprio bene.

Segnaliamo comunque un precedente del tribunale di Napoli che, con una interpretazione evolutiva, quasi un anno fa, benché ancora non ci fosse tale riforma, era arrivato alla stessa soluzione sulla base di una lettura ragionata dei principi del nostro processo (leggi l’articolo “Che succede se la casa all’asta non si vende nonostante i ribassi?”).

La nuova norma non specifica gli effetti che l’eventuale estinzione del pignoramento immobiliare avrà sulle eventuali ipoteche accese dal creditore; si deve però ritenere che le stesse possano continuare a rimanere iscritte nei pubblici registri (salvo il rinnovo periodico). Né viene chiarito quale forbice tra valore di stima e valore di vendita possa considerarsi sufficiente per imporre al giudice la chiusura della procedura. Il che sarà rimesso alla valutazione del singolo tribunale.

Se il creditore insiste di nuovo
Una cosa però è certa: nonostante (anche in questo caso) nulla dica la legge (spetterà eventualmente ai giudici interpretarla in tal senso), qualora il creditore, una volta estinta la procedura per assenza di offerte, proceda a pignorare nuovamente lo stesso immobile, riavviando il medesimo calvario per il debitore (ben conoscendone l’inutilità in assenza di riassetti del mercato immobiliare) si potrebbe configurare un abuso di diritto; e pertanto il debitore ben potrebbe proporre una opposizione all’esecuzione forzata ed, eventualmente, chiedere la condanna del creditore al risarcimento del danno per lite temeraria [2].

Equitalia
Nonostante i limiti ai pignoramenti posti dal Decreto del Fare all’Agente della riscossione, la nuova norma si applica anche a quest’ultimo. Per tale aspetto rinviamo all’articolo “Stop pignoramenti e aste di Equitalia“.

La prima vendita all’incanto
Sempre la riforma aggiunge un’ultima norma anch’essa non meno interessante della precedente. Si specifica, in particolare, che nel caso di vendita all’asta, l’incanto può essere disposto solo quando il giudice ritiene probabile che la vendita con tale modalità abbia luogo ad un prezzo superiore della metà rispetto al valore del bene [3].

[1] Art. 164 bis DL n. 132 del 12.09.2014 conv. in legge n. 162 del 10.11.2014.
[2] Art. 96 cod. proc. civ.
[3] Determinato a norma dell’art. 568 cod. proc. civ.
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